Le “altezze di Sara”: intervista a Sara Caruso

«Ormai mia mamma è la mia migliore amica. Mi confido in tutto e per tutto. Oggi come ieri, sin da quando ho iniziato. Mi è stata sempre vicina. Dal punto di vista tecnico, ma soprattutto con gli abbracci. Indifferentemente se dopo una sconfitta o dopo una vittoria».

Sara Caruso è un altro pezzo di Sicilia di cui andare fieri. Gioca in A1, a Cuneo, ed è la più classica delle figlie d’arte. Perché la madre, Jenny Accardi, alla pallavolo ha dato tanto. Fino sbarcare in A2, negli anni ’90, con la maglia dell’Almer Metra Giarratana. «Avevo un esempio sempre davanti agli occhi, un modello di riferimento, un sogno da inseguire. Inizialmente non credevo nemmeno che la pallavolo facesse al caso mio. Poi ho lasciato la Sicilia, la mia casa, sono arrivati i primi trofei, le prime soddisfazioni. Mia madre sempre lì, ad incoraggiarmi, a dirmi che avevo tutte le carte in regola per farcela. Senza risparmiare critiche quando in campo non andava bene». 193 centimetri: croce e delizia, l’altezza, per Sara. O perlomeno negli anni di scuola.
«Purtroppo nei primi anni e fino alle medie ho subìto svariati episodi di bullismo. Spesso mi guardavano come si guarda a un fenomeno da baraccone. E io non l’ho vissuta benissimo. Ero un po’ introversa, da piccola. Timida, riservata. E la cosa non mi aiutava».
Poi qualcosa è cambiato: lo sport, a volte, può stravolgere tutto.
«Già. La pallavolo mi ha fatto riconsiderare tutto. La mia altezza, da oggetto di scherno, è diventata l’opposto. È diventata il mio punto di forza ed io ho iniziato a rivedere ila questione da un’altra prospettiva: come quando guardi qualcosa di bello, di cui andare fiera. Ho iniziato a vedere la mia altezza come un dono. Ho iniziato a capire che quella strana non ero io. Mi hanno aiutato tanto, anche in questo senso, i miei genitori. E poi il mio ragazzo, che è alto 2 metri e sette».
IL RITORNO IN SICILIA – La ventenne Sara Caruso, prima di approdare nella Bosca S.Bernardo Cuneo, ha vissuto un’esperienza entusiasmante: in A2, a Marsala, nella sua Sicilia.
«Avevo la sensazione di giocare nella e per la mia patria. È stato un onore difendere la mia Sicilia per due anni di fila con quella maglia. Giocavo per la mia famiglia, per i miei amici, per la mia terra. E poi, al 2° anno, arrivare ai playoff è stato un onore immenso. Bello, bellissimo. Io che a Marsala sono arrivata in punta di piedi. Poi, alla seconda partita, ho chiuso con 18 punti e l’80% in attacco. Ho capito una cosa, in quel momento: ho capito di essere una pallavolista. Con ancora tanta, tantissima strada da fare, con un buon margine di miglioramento. Ma, finalmente, con le carte in regola per giocare a volley, anche ad alti livelli».
L’altezza non è più un problema, per Sara. Tutto il contrario. Ma c’è qualcosa che la centrale siciliana non riesce a scrollarsi di dosso.
IL LEGAME CON LA FAMIGLIA – «Soffro il distacco dalla mia famiglia. Ancora oggi. Siamo 5 figli, una marea di cugini. Ricordo quando andai lontano da casa per la prima volta, a Rimini. Piangevo spesso, a volte pensavo anche di essermi pentita di aver scelto questa strada, questa vita. A volte, perché poi c’erano sempre i miei genitori a sostenermi. Mia madre mi faceva: “Sara, se ci sono problemi, torni a casa”. Ma io a casa non ci sono tornata. Ho stretto i denti. Pian piano ho ingranato, iniziando a godermi quello che stavo facendo. A vivere a pieno la mia vocazione. Tanto, mi dicevo e mi dico sempre, loro – la sua famiglia, ndr – sono sempre lì vicino a me. Loro, nonostante tutto, riescono sempre a darmi una mano, una parola di conforto, tutto ciò di cui ho bisogno nel momento del bisogno».
ORIZZONTI – Ali spiegate: ora la Serie A1. «Lo spazio è ridotto, chiaramente. Le ragazze che giocano nel mio ruolo sono più grandi, hanno esperienza. Ed io da loro prendo spunto: mentalmente, tecnicamente. Il nostro allenatore ti spinge sempre a dare tutto, e per me questa è una grandissima opportunità. Quando giochi a questi livelli cresci in fretta, impari in fretta. La pallavolo mi sta cambiando profondamente. Ho imparato molte cose. Ho imparato che quando vai giù, tutte le altre sono dietro ad aiutarti. Io un po’ soffrivo di scarsa autostima. Grazie al volley, ora, non mi abbatto più. Dopo un errore mi dico: ok, hai sbagliato, ora pensa a come risolvere. Perché se ti focalizzi sull’errore, fai prima ad uscire dal campo».
Energia, carica, radici: Sara si fa “brand ambassador” della Sicilia. In campo, soprattutto.
«La Sara siciliana è quella che durante le partite cerca sempre di tirare su la squadra. Faccio battute, cerco sempre, quando serve, di spingere in alto il morale delle compagne. Accolgo i problemi degli altri, col sole dentro, il sole tipico di noi siciliani. E poi sono molto sbarazzina nelle esultanze: mi diletto in una specie di danza. Sono “terrona”. E sono fiera di esserlo».

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